Di fronte al piano svelato dal Washington Post, crolla il mito della "vittoria totale". Lo scenario per il 2027 è un capolavoro di Realpolitik cinica: gli USA si sfilano, Zelensky cede territori e Bruxelles si accolla la ricostruzione e la sicurezza. Benvenuti nel "Modello Corea" versione europea.
Se c’è una cosa che la storia ci insegna, è che le guerre non finiscono quasi mai come i politici promettono nei comizi. Per anni ci siamo sentiti ripetere il mantra dei confini del 1991, della sovranità non negoziabile, della Russia che doveva essere non solo respinta, ma umiliata. Oggi, alla luce delle rivelazioni del Washington Post, quel mantra si sgretola sotto il peso di una realtà che molti analisti sussurravano da tempo, ma che nessuno osava gridare: la guerra in Ucraina finirà con un compromesso doloroso. E il conto, salato, sarà quasi interamente sul tavolo dell'Unione Europea.
Il piano attribuito all'amministrazione americana per il biennio 2025-2027 ha il sapore metallico del disimpegno a stelle e strisce. Il patto, brutale nella sua semplicità, è un classico do ut des: Kiev rinuncia, de facto se non de jure, ai territori attualmente occupati dai russi. In cambio, ottiene ciò che per Mosca è sempre stato fumo negli occhi: l'ingresso accelerato nell'Unione Europea entro il 2027.
È la fine dell'idealismo e il trionfo del cinismo geopolitico. Washington, che ha guidato la risposta occidentale, sembra ora ansiosa di chiudere il dossier ucraino per concentrarsi sul vero rivale strategico, la Cina. Il messaggio alla Casa Bianca è chiaro: "Abbiamo dato armi e intelligence, ora tocca a voi europei gestire la pace". E che pace sarà?
Il piano prevede una zona demilitarizzata pattugliata non dai caschi blu dell'ONU o dai Marines, ma da soldati europei e britannici. Si chiede alle cancellerie di Berlino, Parigi, Roma e Londra di mandare i propri figli a congelare su una linea di confine instabile, a fare da cuscinetto tra due eserciti che si odiano. L'America si sfila dal rischio diretto ("niente stivali americani sul terreno", il solito dogma), lasciando all'Europa la patata bollente della sicurezza continentale.
Ma il vero nodo politico è l'adesione all'UE nel 2027. Se da un lato questa è la "vittoria" che Zelensky potrà vendere al suo popolo — la garanzia che l'Ucraina è definitivamente occidentale e non tornerà mai più nell'orbita di Mosca — dall'altro rappresenta una sfida ciclopica per Bruxelles. Un ingresso così rapido di un paese devastato dalla guerra, con un'economia a pezzi e un settore agricolo ingombrante, rischia di far saltare i bilanci comunitari e gli equilibri politici interni. Stiamo barattando la coesione europea per la stabilità al fronte?
Questo piano è, in sostanza, una "vittoria mutilata" per tutti. Per Putin, che si tiene la Crimea e il Donbass ma vede l'Ucraina scivolare via per sempre verso l'Occidente. Per Zelensky, che salva lo Stato ma perde la terra. E soprattutto per l'Europa, che si ritrova a dover finanziare una ricostruzione faraonica e a garantire militarmente una pace fragile, mentre l'ombrello americano si chiude lentamente.
È la fine delle illusioni. La pace che si profila all'orizzonte non è quella della giustizia assoluta, ma quella della necessità. È una pace brutta, sporca e costosa. Ma dopo anni di trincea, forse è l'unica che possiamo permetterci. Resta solo da capire se l'opinione pubblica europea, finora cullata dalla retorica della vittoria, sia pronta a digerire la verità.

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