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lunedì 1 dicembre 2025

L’Ultimo Valzer di Zelenskyj a Parigi: La Solitudine del Leader tra Scandali e Realpolitik - ecco cosa ne penso

 Mentre l’Europa serve il pranzo di gala all’Eliseo, a Kiev si consuma il dramma di un presidente costretto a scegliere tra la terra e la sopravvivenza.

C’è un’aria di crepuscolo attorno alla figura di Volodymyr Zelenskyj oggi a Parigi, e non è solo colpa del grigio cielo invernale che avvolge la Ville Lumière questo primo dicembre. Il presidente ucraino è atterrato in Francia per quello che Pierre Haski, sulle colonne di Internazionale, definisce senza mezzi termini un tentativo di "uscita da un momento critico". Ma la verità, se grattiamo via la patina della diplomazia di rito e dei sorrisi di circostanza di Emmanuel Macron, è molto più amara: Zelenskyj è un uomo solo, accerchiato tanto dai nemici al fronte quanto dai fantasmi in casa propria.

Il contrasto è stridente. Da una parte c'è l'Eliseo, con i suoi ori e la rassicurazione formale che "l'Europa non molla". Dall'altra, c'è la realtà brutale che Zelenskyj si è lasciato alle spalle a Kiev. La settimana appena trascorsa è stata forse la peggiore della sua vita politica dal 24 febbraio 2022. Non bastavano le bombe russe o la pressione soffocante di una Washington ormai distratta (o ostile?); ci voleva il "fuoco amico". Lo scandalo di corruzione che ha travolto Andrij Jermak, il suo braccio destro, l'uomo ombra, l'amico di sempre, è un colpo al cuore del "contratto sociale" ucraino. Se cade Jermak, il simbolo della resistenza monolitica si incrina. E quando il piedistallo trema, gli avvoltoi – interni ed esterni – iniziano a volare basso.

Ma il vero terremoto, quello che renderà questo pranzo parigino un capitolo da libri di storia, non riguarda le tangenti. Riguarda la mappa. Per la prima volta, la diga narrativa è crollata. L'intervista a Sky News ha sdoganato l'indicibile: la NATO subito, ma solo per i territori controllati da Kiev. Il resto? Si vedrà, "diplomaticamente", un giorno. È la fine del dogma dei confini del 1991. È la realpolitik che prende a schiaffi l'idealismo. Zelenskyj sta ammettendo, tra le righe, che la vittoria totale militare è un miraggio e che la sopravvivenza dello Stato ucraino (quello che ne resta) vale più di una guerra eterna per le rovine del Donbass.

E qui entra in gioco l'ipocrisia europea, che Haski non manca di sottolineare. Macron offre un pranzo, offre immagini, offre la "garanzia morale" dell'Europa. Ma è sufficiente? L'Europa sta cercando di riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti, ma ha le spalle abbastanza larghe? La sensazione è che questo vertice sia una magnifica scenografia per nascondere una ritirata strategica dell'Occidente. Stiamo dicendo a Zelenskyj: "Accetta la mutilazione del tuo Paese, e noi ti promettiamo che il resto sarà al sicuro". È un accordo faustiano.

Zelenskyj oggi non cerca armi per vincere, cerca una via d'uscita per non morire. Cerca di salvare il salvabile prima che il fronte – o il suo governo – collassi. Parigi è l'ultimo palcoscenico dove può ancora recitare la parte dell'eroe intransigente, mentre dietro le quinte si sta scrivendo il copione di un compromesso doloroso. Non è un pranzo tra amici, è una terapia di gruppo per un Occidente che deve perdonare se stesso per non aver fatto abbastanza, e per un leader che deve prepararsi a dire al suo popolo che il prezzo della pace sarà altissimo.

Il momento critico non è solo di Zelenskyj. È della nostra coscienza collettiva (Stefano Donno) 




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