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lunedì 7 aprile 2025

L’invenzione della Selva Di Bruce Bond - Traduzione a cura di Angela D’Ambra edita da I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno

Esce per i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno L’Invenzione della Selva, una raccolta di versi dove l’autore Bruce Bond esplora l’universo della Natura come un regno spirituale, psicologico ed ecologico — un territorio che, a seconda delle nostre percezioni e dei nostri sentimenti, invoca ed evoca ordine, simbiosi, espansione e conservazione. Sebbene parlare di “inventare” la Natura sembri un paradosso, il libro ambisce a riscattare la radice etimologica di “invenzione” come un “avventurarsi dentro”. Inventare come interpretare, in una nuova ermeneutica, la Natura, significa inoltrarsi nell’essenza attraverso un impegno attento e consapevole verso la natura, affermare e liberare l’espressione immaginativa non come mero riflesso della natura, ma come sua forza vitale. Ora meditativo e malinconico, ora vibrante e colmo di vita, L’Invenzione della Selva propone un modo di essere nel mondo che è al tempo stesso eternamente presente e riflessivo.

Nell'Invenzione della Selva, dunque, Bruce Bond esplora l'universo della Natura come un regno spirituale, psicologico ed ecologico — un territorio che, a seconda delle nostre percezioni e dei nostri sentimenti, invoca ed evoca ordine, simbiosi, espansione e conservazione. Sebbene parlare di “inventare” la natura sembri un paradosso, il libro ambisce a riscattare la radice etimologica di “invenzione” come un “avventurarsi dentro”. Inventare come interpretando in una nuova ermeneutica la natura, significa inoltrarsi nell'intimo attraverso un impegno attento e consapevole verso la natura, affermare e liberare l'espressione immaginativa non come mero riflesso della natura, ma come sua forza vitale. Ora meditativo e malinconico, ora vibrante e colmo di vita, L'Invenzione della Selva propone un modo di essere nel mondo che è al tempo stesso eternamente presente e riflessivo.

La raccolta è divisa in quattro sezioni, ognuna delle quali esplora un aspetto diverso del rapporto tra uomo e natura. La prima sezione, "Eco", è una meditazione sulla natura come specchio dell'anima umana. La seconda sezione, "Isole dell'Artico", è una riflessione sulla fragilità dell'ecosistema artico. La terza sezione, "Paradiso", è una celebrazione della bellezza e della potenza della natura. La quarta sezione, "L'invenzione della selva", è un invito a riscoprire la natura come fonte di ispirazione e di meraviglia.

Le poesie di Bond sono caratterizzate da un linguaggio ricco e suggestivo, che evoca immagini vivide e potenti. Il poeta utilizza spesso metafore e similitudini per creare un senso di meraviglia e di mistero. La natura è vista come un luogo di bellezza e di pericolo, di ordine e di caos, di vita e di morte.

L'invenzione della selva è una raccolta di poesie che invita il lettore a riflettere sul proprio rapporto con la natura. È un libro che celebra la bellezza e la potenza della natura, ma che mette anche in guardia sulla sua fragilità. È un libro che invita a riscoprire la natura come fonte di ispirazione e di meraviglia.

 

I principali punti di forza sono linguaggio ricco e suggestivo, immagini vivide e potenti, temi profondi e universaline

L'invenzione della selva è una raccolta di poesie di grande valore, che merita di essere letta e apprezzata, grazie anche alla splendida traduzione di Angela D’Ambra che cura la collana Global Ink, dove per l’appunto esce il libro di Bond. È un libro che invita a riflettere sul nostro rapporto con la natura e che ci ricorda la sua bellezza e la sua importanza.

Eco

 

L’altro membro di questa conversazione

è la foresta in cui siamo, quella che è qui

 

e non del tutto qui, non i boschi a noi noti

della nostra giovinezza, e perduti, e altrove.

 

Io pure ho un volto nuovo, e la piaga senza volto

su cui fluttua, il lungo isolamento per il potere

 

di salvare un oceano, o un amico a pezzi.

Proprio quando credevo d’essere, di nuovo, solo

 

gli arti m’assumono la forma di cieli in fiamme,

come fanno pianeti, e monaci, e ubriachi

 

il cui vago disagio è ardore da esser condiviso.

Persino le più belle fedi sognano il mondo

devastato che dice, lo so, io pure sono afflitto.

L’altra voce fra noi è un cambiamento certo

nel vento. E una volta, da giovane,

la sentii parlare. E nel suo parlare, ascolta.

 

 

Bruce Bond è autore di trentaquattro libri, fra cui i più recenti sono: Patmos (Juniper Prize, UMass, 2021), Behemoth (New Criterion Prize, 2021), Liberation of Dissonance (Schaffner Award for Literature in Music, Schaffner, 2022), Invention of the Wilderness (LSU, 2023). Oltre a questi, due libri di critica Immanent Distance (Università del Michigan, 2015) e Plurality and the Poetics of Self (Palgrave, 2019). Di prossima pubblicazione: Therapon (ispirato a Emmanuel Levinas e scritto in collaborazione con Dan Beachy-Quick, Edizioni Tupelo) e Vault (Richard Snyder Award, Ashland). Altri riconoscimenti includono il Crab Orchard Book Prize, l’Elixir Press Poetry Award, il Tampa Review Book Prize, il Lynda Hull Award, due premi TIL Best Book of Poetry, borse di studio della NEA e del Texas Institute for the Arts, e sette comparse in Best American Poetry. Attualmente, l’autore insegna part-time in veste di Professore emerito d’inglese presso l'Università del North Texas e suona jazz e chitarra classica nell’area di Dallas/Fort Worth.

Angela D’Ambra è laureata in Lingue e Letterature straniere. Dal 2010 traduce, a livello amatoriale, poesia postcoloniale in lingua inglese. Le sue traduzioni sono state pubblicate su numerose riviste online e cartacee. Fra il 2019 e il 2024, ha tradotto dall’inglese undici antologie di poesia (sei per IQdB Edizioni), due romanzi brevi di Peter Cowlam (Utopia; L’altra donna), il romanzo lungo di MG Stephens, Re Ezra, e un saggio sulla teoria della traduzione poetica, Fedele, a modo mio, di Micheal Palma. Per IQdB cura la collana Global Ink dedicata alla letteratura straniera in traduzione italiana.

Info link i Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno

https://www.quadernidelbardoedizionilecce.it/

 

Info link diretto al libro

https://iqdbcasaeditrice.blogspot.com/2025/03/linvenzione-della-selva-di-bruce-bond.html

 

Info link diretto alla collana diretta da Angela D’Ambra Global Ink

https://globalinkiqdb.blogspot.com/


A spasso con Daisy (Driving Miss Daisy)

Atlanta, 1948. Le strade polverose, il caldo che appiccica la camicia alla pelle, e una vedova ebrea dal carattere impossibile, Daisy Werthan, che si ritrova senza il suo bene più prezioso: la libertà di guidare. Poi c’è Hoke Colburn, un autista di colore paziente e ironico, che entra nella sua vita quasi come un intruso, ma finisce per diventarne il pilastro. A spasso con Daisy (in originale Driving Miss Daisy) non è solo un film: è un piccolo gioiello che racconta come due persone, apparentemente agli antipodi, possano intrecciare le loro vite fino a creare un legame indistruttibile. E sullo sfondo? Un’America che cambia, tra segregazione razziale e barlumi di speranza.
Tratto da un’opera teatrale vincitrice del Pulitzer, il film diretto da Bruce Beresford nel 1989 è una di quelle storie che ti entrano dentro piano, senza fretta, proprio come il rapporto tra Daisy (Jessica Tandy) e Hoke (Morgan Freeman). All’inizio, lei è una donna burbera, orgogliosa, che non vuole ammettere di aver bisogno di aiuto. Lui, invece, è un uomo semplice, con un sorriso sornione e una pazienza che sembra infinita. Tra battibecchi e frecciatine – Daisy che lo accusa di tutto, Hoke che risponde con un’ironia disarmante – si dipana una relazione che evolve da un freddo “datore di lavoro-dipendente” a una profonda amicizia. È un crescendo emotivo che ti cattura, perché è reale: non ci sono grandi gesti eroici, ma piccoli momenti di umanità.
E poi c’è il contesto. Il film non sbatte in faccia il razzismo dell’epoca, ma lo mostra con tocchi sottili: un posto negato a tavola, un insulto velato, un’auto della polizia che scruta Hoke con sospetto. Eppure, in questo microcosmo di due persone, il pregiudizio si sgretola. Quando Hoke diventa cuoco, giardiniere e infine confidente di Daisy dopo la morte della governante, capisci che il loro legame va oltre le barriere sociali. Il finale, con lui che le tiene la mano a 94 anni mentre lei si spegne, è un pugno al cuore. Preparate i fazzoletti, perché è impossibile restare indifferenti.
Jessica Tandy è magistrale: la sua Daisy è un mix di fragilità nascosta e testardaggine che ti fa venir voglia di abbracciarla e rimproverarla allo stesso tempo. Ha vinto l’Oscar come miglior attrice, e se lo merita tutto. Morgan Freeman, invece, è la vera anima del film. Con quel suo modo di fare calmo e profondo, dà a Hoke una dignità che buca lo schermo. Non avergli dato l’Oscar è un’ingiustizia che ancora brucia – sì, si è rifatto anni dopo con Million Dollar Baby, ma qui era già un gigante, anche se Hollywood non lo aveva ancora capito.
Con 4 Oscar (miglior film, attrice protagonista, sceneggiatura adattata e trucco), A spasso con Daisy è un classico in stile grande Hollywood: elegante, ben scritto, con una regia che lascia spazio agli attori e una storia che ti scalda il cuore. Non è un film d’azione o di effetti speciali, ma di quelli che ti fanno riflettere su cosa significhi davvero connettersi con qualcuno. È un viaggio lento, come una passeggiata in macchina su una strada di campagna, ma alla fine ti rendi conto che ne è valsa la pena.
Se amate il cinema che parla di vita , di emozioni e di storia, questo è un must.



domenica 6 aprile 2025

TOMMY CASH - UNTZ UNTZ (censored version)

Figli di un Dio Minore (Children of a Lesser God, 1986)

 Se c’è un film che sa parlare senza bisogno di parole, quello è Figli di un Dio Minore (Children of a Lesser God, 1986), diretto da Randa Haines. Questa pellicola non è solo un viaggio nella complessità della comunicazione umana, ma anche una storia d’amore che sfida barriere, pregiudizi e paure. Preparatevi a un’esperienza che vi farà riflettere su cosa significhi davvero ascoltare – e farsi ascoltare.

Pensate dunque a James Leeds (William Hurt), un insegnante brillante e anticonformista, che arriva in un istituto per audiolesi con un fuoco negli occhi e un metodo tutto suo. È uno di quei personaggi che ti conquistano subito: determinato, empatico, ma con quel pizzico di arroganza che lo rende umano. Poi c’è Sarah (Marlee Matlin), una giovane donna sordomuta dalla nascita, che lavora come custode nella stessa scuola dove un tempo è stata studentessa. Non è una vittima, attenzione: Sarah è un vulcano di intelligenza e orgoglio, ma anche di ferite profonde. Il suo silenzio non è solo fisico, è una corazza contro un mondo che teme possa giudicarla.
La trama si dipana come un dialogo tra due anime testarde. James vede in Sarah un potenziale inespresso e vuole “salvarla”, insegnandole a parlare e a integrarsi. Ma lei non cerca un salvatore: vuole essere accettata per ciò che è, non trasformata in ciò che gli altri si aspettano. È uno scontro di volontà che si trasforma in amore – un amore complicato, fatto di gesti, sguardi e silenzi carichi di significato. La scena in cui James cerca di insegnarle a parlare, e lei si ribella con una forza che ti spacca il cuore, è da manuale: ti fa capire che il vero handicap non è la sordità, ma l’incapacità di comprendersi.
William Hurt è semplicemente magnetico. La sua interpretazione è un equilibrio perfetto tra dolcezza e frustrazione, e regge il confronto con una Marlee Matlin che, al suo debutto, ruba la scena. Marlee, sordomuta nella vita reale, porta sullo schermo una verità cruda e commovente che le è valsa un Oscar – meritatissimo – come Miglior Attrice. È impossibile non innamorarsi del suo coraggio, della sua vulnerabilità e di quel sorriso che illumina anche i momenti più bui.
Il film non è perfetto, sia chiaro. A volte scivola in un romanticismo un po’ troppo idealizzato, e il ritmo può sembrare lento per chi cerca azione. Ma è proprio in quella lentezza che si nasconde la sua forza: ti costringe a fermarti, a sentire, a guardare oltre le parole. La regia di Haines, sobria ma intensa, e la colonna sonora di Michael Convertino amplificano l’atmosfera, rendendo ogni scena un piccolo quadro emotivo.
Figli di un Dio Minore è un film che parla di accettazione – di sé stessi e degli altri – e di come l’amore possa nascere anche tra silenzi apparentemente insormontabili. Se amate il cinema che lascia un segno, che vi fa ridere, piangere e pensare nello spazio di due ore, questo è un must. E se non l’avete ancora visto, beh, che aspettate? È una di quelle storie che ti ricorda perché il cinema è arte.