Siamo al tramonto del 2025 e l’inverno ucraino non porta con sé il silenzio della neve, ma il frastuono di un diktat che ha il sapore amaro del 1938. Le ultime dichiarazioni di Vladimir Putin, riportate dai media internazionali e dalla nostra Rai News, non lasciano spazio a interpretazioni semantiche: "Se Kiev non cede il Donbas, lo prenderemo con la forza".
Non è una minaccia. È una confessione. Ed è, forse, il punto di non ritorno definitivo per l'Europa.
La Maschera è Caduta (Definitivamente)
Per quasi quattro anni, la narrazione del Cremlino ha oscillato tra la "denazificazione", la difesa contro l'espansionismo NATO e la protezione delle minoranze russofone. Oggi, quella retorica complessa e spesso contraddittoria è stata spazzata via da una brutale onestà imperiale. Putin non parla più di liberazione, parla di annessione pura e semplice. Condizionare la fine delle ostilità alla cessione territoriale non è un negoziato di pace; è una richiesta di capitolazione incondizionata su base geografica.
L'ultimatum odierno ci dice una cosa fondamentale sullo stato del conflitto nel 2025: la Russia ha smesso di cercare una legittimazione politica internazionale per le sue azioni. Mosca scommette tutto sulla Realpolitik del ferro e del sangue, convinta che l'Occidente, logorato da anni di sostegno economico e militare a Kiev, sia ormai pronto a sacrificare il Donbas sull'altare di una stabilità illusoria.
L'Errore Fatale della Stanchezza Occidentale
È qui che la critica deve farsi affilata verso le cancellerie europee e Washington. La tentazione di dire a Zelensky "Basta, firma e chiudiamola qui" è forte, palpabile nei corridoi di Bruxelles e nelle opinioni pubbliche stanche di inflazione e crisi energetiche. Ma cedere al ricatto di Putin oggi significherebbe legittimare il principio che i confini si disegnano con i carri armati e non con i trattati.
Se il Donbas venisse ceduto "de jure" sotto la minaccia delle armi, quale messaggio invieremmo al resto del mondo? Che la sovranità è un lusso che solo chi ha l'atomica può garantire? Accettare questo scambio non porterebbe la pace, ma solo una tregua armata in attesa della prossima rivendicazione, magari su Odessa, magari sui Baltici tra un decennio.
Kiev tra l'Incudine e il Martello
Dall'altra parte della barricata, l'Ucraina si trova di fronte a una scelta esistenziale impossibile. Continuare a combattere significa condannare un'altra generazione al massacro nelle trincee del fronte orientale; cedere significa smembrare la nazione e tradire il sacrificio di chi è caduto dal 2014 ad oggi. La strategia russa è chiara: trasformare il Donbas in un tritacarne tale da rendere la cessione territoriale l'unica via d'uscita umanitaria. È una strategia cinica, crudele, ma militarmente lucida.
Il Tempo delle Scelte Coraggiose
Non possiamo permetterci di essere ingenui. L'annuncio di Putin di voler prendere il Donbas "con la forza" se non ceduto pacificamente è la prova che la diplomazia, intesa come arte del compromesso, è morta. L'Occidente deve decidere ora, nel novembre 2025, cosa vuole essere da grande: un difensore stanco dei principi democratici o un pragmatico spettatore del ritorno degli imperi. Se lasciamo che Kiev ceda sotto il peso di questo ultimatum, non avremo salvato la pace. Avremo solo spostato la guerra un po' più in là, più vicino alle nostre case.
Il Donbas non è solo una regione geografica. Oggi è la linea di faglia tra il diritto internazionale e la legge del più forte. E quella linea sta per spezzarsi.
(Stefano Donno)

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