Leggendo il ritratto che ne fa oggi il Corriere, si ha la netta sensazione che la parabola di Andriy Yermak non sia solo la storia di un uomo, ma la radiografia di un intero sistema di potere sotto stress. Fino a ieri, Yermak non era semplicemente il capo dell'ufficio di presidenza ucraino; era l'ombra, il filtro, l'architetto e, per molti critici, il "Vice-Presidente" de facto di un'Ucraina in guerra. Oggi, con le dimissioni e l'annuncio teatrale — "Vado al fronte" — cala il sipario su una delle figure più controverse e potenti dell'Est Europa.
Il Regista dietro il Presidente Se Zelensky è il volto eroico della resistenza, Yermak ne è stato la macchina operativa. Avvocato, ex produttore cinematografico (non dimentichiamolo mai), amico di lunga data: il suo profilo non è quello del burocrate grigio, ma del manager spregiudicato. Come ben sottolinea la cronaca, Yermak ha costruito attorno al Presidente un "cerchio magico" impenetrabile. Ha accentrato deleghe, gestito dossier delicatissimi (dallo scambio prigionieri ai negoziati con Washington) e, inevitabilmente, si è fatto molti nemici. La critica qui è d'obbligo: in una democrazia, anche in tempo di guerra, un uomo non eletto non dovrebbe detenere un potere superiore a quello dei ministri e del Parlamento. Yermak ha spesso scavalcato le istituzioni, agendo con quel pragmatismo cinico che serve per sopravvivere, ma che alla lunga erode la fiducia.
L'Operazione Midas e il tempismo sospetto Il tempismo è tutto in politica. Le accuse di corruzione e l'inchiesta "Midas" arrivano in un momento cruciale: la transizione americana e la stanchezza interna. Che Yermak sia colpevole o meno (la magistratura farà il suo corso), la sua caduta ha il sapore di un sacrificio necessario. Per ripulire l'immagine di Kiev agli occhi dei donatori occidentali? Per placare il malcontento interno? La sua reazione, "Sono disgustato, vado al fronte", è l'ultimo colpo di teatro di un uomo che sa come gestire la narrazione. È la mossa del martire incompreso, perfettamente in linea con lo stile comunicativo che lui stesso ha contribuito a forgiare per la presidenza.
Zelensky è più solo? La vera domanda che emerge tra le righe non riguarda il destino di Yermak, ma quello di Zelensky. Senza il suo "bad cop", senza l'uomo che si sporcava le mani per lui e che fungeva da parafulmine per le critiche, il Presidente è nudo. Yermak era lo scudo su cui si infrangevano le polemiche interne; ora quel ruolo è vacante. Il ritratto che ne esce è quello di un uomo che ha volato troppo vicino al sole, scambiando la vicinanza al potere con l'immunità. Ma in geopolitica, come nel cinema, quando i titoli di coda si avvicinano, le comparse spariscono e restano solo i protagonisti a prendersi la responsabilità del finale. E il finale di questa guerra è ancora tutto da scrivere.
Forse Yermak al fronte non ci andrà mai davvero, o forse sì, per cercare una redenzione epica. Ma una cosa è certa: da oggi, a Bankova, l'aria è molto più rarefatta. E il silenzio, senza il "Cardinale Verde" a sussurrare ordini, sarà assordante. (Stefano Donno)

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