C’è un momento, nelle lunghe guerre di logoramento, in cui il lessico della diplomazia cede il passo a quello della sopravvivenza viscerale. Quel momento, per Volodymyr Zelensky, è arrivato questo Natale. Dimenticate i discorsi ispirazionali in maglietta verde militare che avevano stregato i parlamenti occidentali nel 2022. Dimenticate la retorica della "resilienza" fatta di metafore edificanti.
Il messaggio natalizio del presidente ucraino, riportato dalle agenzie e rimbalzato con fragore sulle testate internazionali, non è un augurio: è un anatema. Augurare la morte a Vladimir Putin e invocare l'immagine dei bombardieri russi sui mari di Barents e di Norvegia non è una gaffe, né un semplice sfogo. È la certificazione che il conflitto è entrato nella sua fase più buia e, forse, più onesta.
La rabbia oltre il protocollo Zelensky ha scelto di infrangere l'ultimo tabù istituzionale. Augurare la fine fisica dell'avversario ("che muoia", senza mezzi termini) è qualcosa che la politica moderna, con i suoi felpati eufemismi, tende a rigettare. Eppure, in questa uscita furiosa, c’è una critica implicita e feroce all'Occidente. Mentre le cancellerie europee e americane dibattono su "escalation", "linee rosse" e possibili "negoziati futuri", Zelensky ci sbatte in faccia la realtà della trincea: non ci può essere pace con chi vuole la tua estinzione. È un urlo che serve a scuotere un'opinione pubblica occidentale assuefatta, distratta dai panettoni e stanca di finanziare una guerra che sembra non finire mai. Zelensky sa che la cortesia non porta più munizioni; forse spera che lo shock lo faccia.
L’allarme al Nord: la strategia della paura Ma attenzione a non leggere questo discorso solo come lo sfogo di un uomo esausto. C'è un passaggio cruciale, squisitamente strategico, nel suo inveire: il riferimento ai bombardieri russi nei mari di Barents e Norvegia. Zelensky non cita quelle coordinate a caso. Sta dicendo all'Europa del Nord e alla NATO: "Credete di essere al sicuro? Credete che il problema sia solo nel Donbass?". Spostando l'attenzione sui confini artici e scandinavi, il presidente ucraino cerca di internazionalizzare nuovamente la minaccia, toccando i nervi scoperti della sicurezza marittima e energetica europea. È una mossa lucida in un discorso emotivo: ricordare che l'orso russo ha artigli lunghi, capaci di graffiare ben oltre i confini ucraini.
Il vicolo cieco Tuttavia, c'è un rovescio della medaglia in questa retorica apocalittica. Quando un capo di Stato arriva ad augurare la morte del nemico in un discorso ufficiale, segnala anche che i margini di manovra si sono azzerati. Se l'unica soluzione strategica è la scomparsa biologica di Putin, allora la politica ha fallito. E questo pone l'Occidente di fronte a un dilemma atroce: continuare a sostenere una guerra che l'Ucraina definisce ormai come una lotta tra la vita e la morte assoluta, o spingere per un compromesso che Zelensky ha appena definito moralmente inaccettabile?
Questo Natale ci consegna un leader ucraino diverso: meno icona pop, più profeta di sventura. Il suo non è un messaggio di speranza, ma di resistenza disperata. E il silenzio imbarazzato che potrebbe seguire nelle cancellerie europee sarà il rumore più forte di queste festività. (Stefano Donno)