Donate

lunedì 15 dicembre 2025

L’Ultimo Domino: Perché l'allarme di Kallas su Berlino è la sveglia che l'Europa si rifiuta di sentire - ecco cosa ne penso

Di fronte allo spettro della caduta del Donbass, l'Alto Rappresentante UE Kaja Kallas evoca la "Fortezza Berlino". Ma mentre la diplomazia corre tra Kiev e Washington, la vera domanda è: l'Europa ha ancora tempo per trasformare la retorica in deterrenza?


15 Dicembre 2025. Se c’è una cosa che la storia ci ha insegnato, è che le metafore in geopolitica non sono quasi mai solo esercizi di stile. Quando Kaja Kallas, con la franchezza baltica che la contraddistingue e che spesso irrita le cancellerie più felpate dell'Ovest, dichiara che "se Putin conquista il Donbass, cade la fortezza Berlino", non sta parlando di carri armati russi sotto la Porta di Brandeburgo domani mattina. Sta parlando di qualcosa di molto più insidioso e definitivo: il crollo dell'architettura di sicurezza su cui l'Unione Europea ha dormito sonni tranquilli per tre decenni.

Siamo alla fine del 2025. La guerra in Ucraina non è più una "crisi": è diventata la condizione esistenziale del nostro continente. E le parole di Kallas, pronunciate mentre i leader di Kiev, USA, UE e NATO si incrociano in colloqui frenetici, suonano come un de profundis per l'illusione della stabilità.

Il Donbass come la linea del Piave europea
La critica che dobbiamo muovere all'Europa, ancora oggi, è la lentezza nella percezione del rischio. Per anni abbiamo trattato il Donbass come una regione remota, una disputa territoriale ai confini dell'impero. Kallas ribalta il tavolo: il Donbass non è periferia, è il centro. Se cade definitivamente, se Mosca riesce a consolidare e annettere de facto e de jure l'intero bacino minerario spingendosi oltre, il messaggio al mondo è che la forza bruta ridisegna le mappe, non il diritto internazionale.

Dire che "cade Berlino" significa ammettere che la Germania — e con essa il cuore industriale e politico dell'UE — non è più un attore protetto da stati cuscinetto, ma torna ad essere, psicologicamente e strategicamente, una zona di frontiera. È la fine dell'Ostpolitik, sepolta non dalla diplomazia, ma dall'artiglieria.

Il Grande Freddo Diplomatico
Mentre Kallas lancia l'allarme, i corridoi della diplomazia ribollono. I colloqui tra Kiev, Washington e i vertici NATO suggeriscono che siamo a un bivio. Con l'amministrazione USA che guarda sempre più al Pacifico (o che spinge per un "deal" rapido, a seconda degli umori della Casa Bianca di fine 2025), l'Europa si trova sola con le sue paure.

L'errore imperdonabile di Bruxelles? Aver passato il 2024 e metà del 2025 a discutere di bilanci e regolamenti, mentre la Russia convertiva la sua intera economia in una macchina da guerra. La retorica di Kallas è potente, è giusta, ma è tragicamente tardiva se non supportata da una capacità industriale militare che l'UE fatica ancora a mettere in campo in modo unitario.

La scelta di dicembre
L'avvertimento dell'Alto Rappresentante non è un'iperbole, è una diagnosi clinica. Se il fronte ucraino collassa, il costo per mantenere la sicurezza della "Fortezza Europa" decuplicherà. Non si tratterà più di inviare aiuti a Kiev, ma di militarizzare i nostri confini, da Helsinki a Varsavia, con costi sociali ed economici che i nostri elettorati non sono pronti a sostenere.

Kallas ci sta dicendo che il tempo del "supporto finché serve" è finito. Ora siamo nella fase del "vincere o cambiare mondo". E se la fortezza Berlino trema, è perché le fondamenta su cui l'abbiamo costruita erano fatte di gas a buon mercato e garanzie di sicurezza americane. Entrambi, in questo gelido dicembre 2025, sono beni in via di estinzione. (Stefano Donno)




Nessun commento:

Posta un commento