C’è un’immagine che, più di ogni altra, restituisce la schizofrenia di questo fine 2025. Da una parte le sirene che urlano nella notte di Kiev, i cieli squarciati da missili russi e le macerie fumanti di una capitale che non ha conosciuto tregua natalizia. Dall’altra, i cocktail ghiacciati e le palme di Mar-a-Lago, Florida, dove domani andrà in scena l’atto forse finale di questa tragedia geopolitica.
La diplomazia del cinismo Mentre leggete queste righe, Vladimir Putin gioca la sua partita più spregiudicata. Mosca bombarda con una mano — oltre 1.200 droni in una settimana, un record macabro — e con l’altra sventola un surreale "patto di non aggressione" verso la NATO e l’UE. È la classica strategia del bastone e della carota, o meglio, del martello e della nebbia. Il messaggio del Cremlino è chiaro: possiamo distruggervi o ignorarvi, scegliete voi. E l'Europa? L'Europa osserva, paralizzata, mentre cerca freneticamente di sbloccare gli asset russi congelati per pagare un conto che Washington non vuole più saldare.
Il fattore Trump: l'imperatore senza vestiti? Ma il vero elefante nella stanza siede in Florida. La frase di Donald Trump rimbalzata nelle ultime ore — "Zelensky non ha nulla finché non lo approvo io" — è di una brutalità che gela il sangue persino ai realisti più incalliti. Non è linguaggio diplomatico; è il lessico di un liquidatore fallimentare. Zelensky vola negli USA non come un capo di Stato vittorioso, ma come un CEO che cerca di salvare l'azienda prima della chiusura. Chiede garanzie di pace per 15 anni; rischia di tornare a casa con un ultimatum di 15 giorni.
L'illusione europea e la realtà del fronte Diciamocelo chiaramente: l'idea che l'Europa possa sostituire il disimpegno americano è una favola che ci raccontiamo per non cedere al panico. Sul campo, nel Donbass, la difesa ucraina è eroica ma logora. Pokrovsk resiste per miracolo. La carenza di uomini è cronica. Se Trump decide di chiudere i rubinetti, Bruxelles non avrà né la forza industriale né quella politica per riempirli.
Conclusione: una pace o una resa? Ci avviciniamo al 2026 con l'amara sensazione che i giochi siano fatti sopra la testa degli ucraini. Se l'incontro di domani sancirà una pace, sarà probabilmente una "pace fredda", imposta e non negoziata, che lascerà cicatrici profonde sul diritto internazionale. Putin potrebbe ottenere ciò che vuole non perché ha vinto sul campo, ma perché l'Occidente si è stancato di perdere. E mentre i leader si stringeranno la mano sotto il sole della Florida, a Kiev si continuerà a spalare macerie sotto la neve.
Il silenzio delle coscienze, temo, farà più rumore delle bombe (Stefano Donno)

Nessun commento:
Posta un commento