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martedì 25 marzo 2025

Un ricordo di Vittorio Balsebre

Immaginate un uomo di oltre novant’anni, chino su un tavolo ingombro di fogli, con pennarelli colorati che danzano veloci tra le sue mani. È Vittorio Balsebre, un artista che fino all’ultimo respiro, nel 2013, ha trasformato la sua abitazione-studio a Lecce (abitava di fronte alla Clinica dell'Accendino) in un vortice di segni, parole e visioni. Nato a Candelo, in Piemonte, nel 1916, e morto a Lecce dopo una vita itinerante e intensa, Balsebre è stato un esploratore instancabile dell’arte contemporanea. Oggi, 24 marzo 2025, mi ritrovo a scrivere di lui con un misto di ammirazione e curiosità, e di affetto, pensando al suo fare arte ( ... o poesia?) e ai nostri incontri a casa sua .
Conosco bene quel fremito che accompagna il parlare di un artista, ripercorrendo il suo tracciato biografico: l’attesa di scoprire cosa si cela dietro ogni opera, il dialogo silenzioso tra il fruitore e l’artista. Balsebre ci ha invitato a leggere il mondo con occhi nuovi, a cogliere il ritmo di un graffito o la leggerezza di una “Dattilopoesia” (penso anche alla lunga striscia cromo poetica di Paola Scialpi e Vittorio Balsebre esposta alla Scaletta di Matera e di cui ancora nessun critico se ne è occupato degnamente)
La sua storia è un intreccio di città e incontri. Da Montescaglioso in Lucania, dove ha respirato l’infanzia, a Roma, dove ha conosciuto maestri come Pietro Consagra e Giulio Turcato, fino a Matera, crocevia di artisti negli anni Cinquanta. Qui, tra i Sassi, ha assorbito l’energia di un luogo che vibra di storia e sperimentazione, frequentando il circolo “La Scaletta” e confrontandosi con figure come Carlo Levi. Poi Lecce, la sua casa adottiva dagli anni Sessanta, dove ha trovato terreno fertile per le sue esplorazioni: dall’adesione ai gruppi “Gramma” e “Ghen” all’amore per l’arte verbo-visiva, fino alla “Mail-Art” che spediva frammenti di genio in giro per il mondo.
Ma c’è un aspetto che mi colpisce particolarmente: la fotografia. Nei “Fotograffiti” degli anni Ottanta, Balsebre graffia pellicole di scarto e le trasforma in opere pittoriche, quasi a voler imprigionare il tempo che scorre. E poi ci sono le “foto astratte” e i “Segni e tracce tra Matera e Lecce”, che parlano di un legame profondo con i paesaggi che ha abitato. È un’arte che non si limita a rappresentare, ma che indaga, che si interroga. «Che cos’è un titolo? Può essere un pretesto… ma molti non lo sono», scriveva. E io, da appassionato di arte contemporanea, non posso che sorridere: quante volte ci siamo chiesti cosa significhi davvero un’opera?
Fino al 2008, a più di novant’anni, Balsebre lavorava ancora al computer, creando “graffiti” digitali con quella curiosità che non lo ha mai abbandonato e che voglio trasmettere con queste poche righe. (s.d.)

Pensate a un futuro in cui l’umanità si spinge oltre la Terra, colonizzando lo spazio, ovvero ... pensate al Gundam!

Pensate a un futuro in cui l’umanità si spinge oltre la Terra, colonizzando lo spazio, ma portando con sé i conflitti, le speranze e i sogni di sempre. Ora aggiungete robot giganti pilotati da eroi tormentati, battaglie epiche e un tocco di realismo che cambia per sempre il modo di raccontare la fantascienza. Questo è Gundam, un nome che per molti è sinonimo di passione, nostalgia e innovazione. Come fan di manga e anime, non posso fare a meno di emozionarmi scrivendo di un franchise che non è solo intrattenimento, ma un fenomeno che ha plasmato generazioni. Preparatevi: questo è un viaggio dalle origini di Mobile Suit Gundam al suo status di leggenda vivente – e sì, potrebbe farvi venire voglia di costruire un Gunpla stasera stessa!
1979: La Scintilla di un Nuovo Universo
Tutto inizia con Yoshiyuki Tomino e Hajime Yatate, due visionari dello studio Sunrise, che nel 1979 lanciano Mobile Suit Gundam. All’epoca, gli anime mecha erano dominati da robot invincibili e piloti perfetti – pensate a Mazinger Z o Getter Robo. Ma Gundam? Gundam era diverso. Qui i mobile suit non erano divinità d’acciaio, ma armi da guerra, strumenti fragili in un conflitto brutale tra la Federazione Terrestre e il Principato di Zeon. Il protagonista, Amuro Ray, non è un eroe senza macchia: è un ragazzo normale, spaventato, catapultato in una guerra che non capisce.
Questa svolta realistica – il cosiddetto “real robot” – ha scosso il genere. Non si trattava più solo di azione: c’era politica, sacrificio, dilemmi morali. All’inizio, però, il pubblico non era pronto. La serie arrancò, rischiando la cancellazione. Ma poi, come una fenice, risorse negli anni ‘80 grazie ai fan, al passaparola e ai modellini Gunpla, trasformandosi in un colosso culturale.
L’Esplosione di un Franchise
Da quell’humble beginning, Gundam è diventato un universo tentacolare. Oggi conta oltre 30 serie TV, film, OVA e ONA, senza dimenticare manga, romanzi e videogiochi. Ci sono timeline diverse – l’Universal Century (UC), la continuity originale, è il cuore pulsante, ma poi arrivano Gundam Wing, Gundam SEED, Gundam 00, ognuno con il suo stile e pubblico. Avete mai visto Gundam Unicorn? È poesia visiva, un ritorno alle radici UC con una profondità che ti spezza il cuore. O magari Iron-Blooded Orphans, crudo e spietato, che ti tiene incollato allo schermo con i suoi antieroi.
E i Gunpla? Oh, i Gunpla sono la vera magia. Questi modellini non sono solo giocattoli: sono un rito. Passare ore a montare un RX-78-2 o un Zaku II, con quel mix di soddisfazione e frustrazione quando un pezzo non si incastra, è un’esperienza che ogni fan dovrebbe provare. Bandai lo sa bene: Gundam è il loro gioiello da miliardi di yen, e i Gunpla sono il ponte tra lo schermo e le nostre mani.
Più di un Anime: Un Pezzo di Giappone
Ma Gundam non è solo un franchise. È un simbolo. In Giappone lo trovi ovunque: pubblicità con mobile suit, statue giganti (avete visto quella di Odaiba che si muove?), citazioni nei discorsi politici. Ha ispirato ingegneri e scienziati – qualcuno ha mai sognato un futuro nello spazio senza pensare a una colony cilindrica? È un dialogo continuo tra finzione e realtà, tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare.
Pensateci: Gundam parla di guerra, sì, ma anche di pace. Di conflitti tra generazioni, di colonialismo, di cosa significa essere umani in un mondo di macchine. È per questo che resiste. Non è solo per i nerd degli anime (anche se, ammettiamolo, noi siamo i suoi apostoli!). È per chiunque si sia mai chiesto: “Cosa farei io, al posto di Amuro o Char?”.
Oggi: Un Mito in Evoluzione
Nel 2025, Gundam non accenna a fermarsi. Nuove serie come Gundam: The Witch from Mercury portano aria fresca con protagoniste femminili forti e temi moderni, mentre i film come Hathaway’s Flash ci riportano all’UC con una maturità che colpisce dritto al cuore. E i fan? Siamo una comunità globale, uniti da discussioni su quale sia il miglior Gundam (per me è il Nu Gundam, e non accetto obiezioni!) o da sfide su chi monta il Gunpla più veloce.
Perché Gundam Ci Parla Ancora
Allora, perché Gundam ci cattura dopo quasi 50 anni? Perché è umano. È caos e bellezza, speranza e tragedia. È un promemoria che anche in un futuro di robot giganti, ciò che conta sono le persone dentro e fuori quelle corazze. Se non l’avete mai visto, iniziate con l’originale del ‘79 – sì, l’animazione è datata, ma l’anima è senza tempo. O magari tuffatevi in Gundam Wing per un po’ di nostalgia anni ‘90.
E voi, che ne pensate? Qual è il vostro Gundam del cuore? Costruite Gunpla o preferite guardarli combattere sullo schermo? Scrivetelo nei commenti – voglio sapere tutto! Questo è Gundam: un sogno d’acciaio che appartiene a tutti noi.

Ciao, Gianfranco ...

Oggi il cuore del cinema italiano batte un po’ più piano. Gianfranco Barra, un maestro della recitazione che ha dato vita a decine di personaggi indimenticabili, ci ha lasciati a 84 anni nella sua amata Roma. Se ne va un pezzo di storia, uno di quei volti che, senza clamore, hanno reso grande il nostro schermo. E io, da appassionato di cinema e TV, non posso fare a meno di fermarmi a ricordare un uomo che, con la sua versatilità e il suo talento discreto, ha attraversato epoche e generi, lasciando un segno che non dimenticheremo mai.
Pensateci: nato nel 1940, Barra ha studiato alla prestigiosa "Silvio D’Amico" e ha debuttato nel 1968 accanto a un gigante come Alberto Sordi in Il medico della mutua. Già lì si capiva che non era un attore qualunque. Aveva quel dono raro di rendere ogni ruolo, anche il più piccolo, vivo e autentico. Da lì, la sua carriera è stata un viaggio incredibile: ha lavorato con Nanni Loy, Billy Wilder, Steno, i Vanzina, fino a incrociare registi internazionali come Anthony Minghella in Il talento di Mr. Ripley. Avete presente quando guardate un film e un volto familiare vi strappa un sorriso o un’emozione inattesa? Ecco, quello era Barra.
Chi non lo ricorda in Pane e cioccolata con Nino Manfredi? Quella commedia dolceamara sull’emigrazione aveva bisogno di un’interpretazione delicata, e lui l’ha resa perfetta. O nelle commedie anni ‘80, come Sapore di mare, dove portava una leggerezza che ci faceva sentire a casa? E poi la TV: il suo sindaco Bellucci in Dio vede e provvede era un mix di ironia e umanità che solo lui poteva creare. Più di 80 film, una vita spesa a dare corpo a personaggi che spaziavano dal comico al drammatico, dal locale all’universale.
Gianfranco Barra era uno di quegli attori che non cercavano il riflettore, ma lo conquistavano comunque. Non era il protagonista urlato, ma il caratterista che dava sapore a ogni scena. Pensare che non lo vedremo più mi stringe il cuore, ma allo stesso tempo mi spinge a riguardare i suoi film, a riscoprire quel talento sottile che ha fatto scuola. Roma perde un figlio, il cinema perde un pilastro, e noi perdiamo un amico sullo schermo.
Allora, facciamolo insieme: stasera prendete un film con lui – magari Banana Joe con Bud Spencer, per ridere un po’, o Heaven, per stupirvi della sua profondità – e brindiamo a un grande. Qual è il vostro ricordo preferito di Gianfranco Barra? Scrivetelo qui sotto, perché oggi non è solo un addio, ma una celebrazione. Ciao, Gianfranco, e grazie di tutto (s.d.)



Malou Khebizi, actrice dans “Diamant brut”- Nouvelles têtes

A proposito di Casanova di Miklós Szentkuthy (Adelphi)

  Miklós Szentkuthy, saggista, memorialista, romanziere – paragonato a Borges per l’erudizione e a Joyce (ne aveva tradotto l’ Ulisse ) per ...