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sabato 1 novembre 2025
Gli occhi della scimmia di Krisztina Tóth (Voland)
In un paese sinistro senza nome e senza tempo, dove una devastante guerra civile ha lasciato la società divisa tra gli agiati filogovernativi e una massa di poveri confinati in zone ai limiti della sopravvivenza, Giselle e il dottor Kreutzer si incontrano. La donna, sull’orlo di un crollo emotivo dopo essere stata seguita per settimane da un giovane sconosciuto, si affida alle cure dello psichiatra, e mentre la terapia la spinge a immergersi nella storia della sua famiglia, anche l’uomo rivive la propria, barcamenandosi tra l’eredità della madre appena scomparsa e la fine di un matrimonio. Un romanzo sofisticato fatto di vite che si sfiorano appena: storie di donne e uomini, mogli e mariti, madri e padri, mentre il potere e i suoi meccanismi lavorano instancabilmente per seppellire il passato. Una distopia dal ritmo di un poliziesco, pervasa da un raffinato umorismo dalle tinte grottesche
venerdì 31 ottobre 2025
Il Trionfo Silenzioso di Pechino: Perché la Cina non vuole la pace (né in Ucraina, né con gli USA) - ecco cosa ne penso
Sgombriamo subito il campo da qualunque illusione diplomatica: l'analisi che emerge dalle colonne de Il Fatto Quotidiano non è solo una provocazione, è la fotografia spietata del nuovo disordine mondiale. L'idea che, sotto la presidenza Trump, Cina e Stati Uniti abbiano raggiunto la "parità" non è un complimento per Pechino; è un atto d'accusa verso un Occidente che ha smarrito la bussola strategica.
La "parità" di cui parliamo non è quella virtuosa di due economie integrate che competono lealmente. È la parità che si raggiunge quando il gatto (Washington) decide volontariamente di lasciare il campo ai topi, preferendo abbaiare contro i propri alleati (l'Europa) piuttosto che presidiare il territorio.
In questo vuoto strategico, la Cina di Xi Jinping non avanza: dilaga.
Il capolavoro del cinismo strategico di Pechino, come giustamente sottolineato, si gioca sul tavolo ucraino. La tesi è brutale quanto corretta: la Cina non ha alcun vantaggio nel promuovere una vera pace in Ucraina.
Perché dovrebbe? Il conflitto alle porte dell'Europa è, per il Dragone, un dono insperato.
Primo: è un pozzo senza fondo per le risorse occidentali. Ogni miliardo speso da Washington e Bruxelles per Kiev è un miliardo che non viene investito nel contenimento cinese nel Pacifico. Ogni missile Patriot inviato in Ucraina è un sistema d'arma in meno a difesa di Taiwan. L'amministrazione Trump, ossessionata dalla contabilità transazionale dell'impegno NATO, facilita involontariamente questo dissanguamento strategico, focalizzandosi sul "costo" immediato piuttosto che sul "valore" strategico a lungo termine.
Secondo: la guerra distrae. Mentre i media e le cancellerie occidentali sono (comprensibilmente) ipnotizzati dagli orrori quotidiani del Donbass, Pechino cementa la sua influenza economica in Africa, stringe patti in Medio Oriente e militarizza il Mar Cinese Meridionale. L'America di Trump, con il suo mantra "America First", segnala al mondo che il ruolo di gendarme globale è vacante. E Pechino ne prende atto.
Terzo, e forse più importante: la Russia. L'aggressione di Putin, fallimentare sul piano militare convenzionale, è stata un successo per la Cina. Ha trasformato la Russia da partner scomodo a vassallo energetico. Mosca, isolata e sanzionata, non ha altra scelta che vendere il suo gas e il suo petrolio a Pechino, a prezzi stracciati, e offrire copertura diplomatica in seno al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Perché mai Xi Jinping dovrebbe rinunciare a un alleato così disperatamente sottomesso?
La cruda realtà è questa: la presidenza Trump, con la sua miscela di isolazionismo e realpolitik spicciola, ha accelerato il passaggio a un mondo multipolare che non sa gestire. Ha confuso l'"essere alla pari" con il disimpegno.
La pace in Ucraina, per Pechino, non è un obiettivo; è un fastidio. Significherebbe il ritorno dell'attenzione americana sul Pacifico e la possibile (seppur difficile) ricomposizione di un fronte occidentale. Molto meglio un'Europa impantanata in una guerra di logoramento e un'America che dubita del suo stesso ruolo.
L'analisi del Fatto è corretta: Pechino osserva, accumula e, soprattutto, attende. Non ha fretta. Il tempo, e il caos occidentale, giocano a suo favore. (Stefano Donno)
Il carnevale di Nizza e altri racconti di Irène Némirovsky (Adelphi)
Le prime «scritture brevi» di un’autrice ancora molto giovane, ma già in possesso di uno stile pienamente riconoscibile e di quella capacità di penetrazione psicologica che è soltanto sua.
giovedì 30 ottobre 2025
Giustizia, la Riforma Sbagliata: Separare per Comandare Meglio? - ecco cosa ne penso
La politica italiana vive di ETERNI RITORNI. Come una cometa che torna a intervalli regolari, riappare nel dibattito pubblico la "madre di tutte le riforme": quella della Giustizia. E, come sempre, la discussione si avvita non sui problemi reali del sistema — la lentezza esasperante dei processi, la carenza cronica di organico, la digitalizzazione a singhiozzo — ma su un'ossessione che sa di regolamento di conti: la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri.
Ancora una volta, ci viene presentata una presunta rivoluzione copernicana ammantata dalle migliori intenzioni. Ce lo dicono in tutti i modi: serve a garantire la "terzietà" del giudice, a creare un processo "ad armi pari", a smantellare un presunto "strapotere" delle procure. Parole d'ordine affascinanti, perfette per i titoli dei telegiornali. Ma un giornalista ha il dovere di grattare la vernice della propaganda.
E cosa troviamo sotto questa vernice? Troviamo il sospetto, neanche troppo velato, che l'obiettivo non sia una giustizia più efficiente, ma una magistratura più debole.
Analizziamo il punto focale: la separazione delle carriere. Si insiste sul fatto che pubblico ministero e giudice debbano essere due figure distinte, appartenenti a carriere diverse. Formalmente, lo sono già. Ma la narrazione politica vuole dipingere il PM come un "quasi-giudice" che influenza il vero giudice, in una sorta di "familiarità" che inquinerebbe il processo. È una tesi debole.
La verità è che separare le carriere in modo netto, magari creando due diversi Consigli Superiori (uno per i giudici, uno per i PM), rischia di produrre un effetto devastante. Il pubblico ministero, slegato dalla cultura giurisdizionale comune e dalla garanzia di indipendenza che (pur con tutte le sue storture) il CSM unico rappresenta, rischierebbe di diventare qualcosa di molto diverso: un super-avvocato dell'accusa, potenzialmente più sensibile alle direttive del potere esecutivo.
È questo che vogliamo? Un'accusa che risponde, anche indirettamente, alla politica? La storia del nostro Paese, da Tangentopoli in poi, dovrebbe insegnarci che l'indipendenza del PM — che in Italia, ricordiamolo, ha l'obbligo costituzionale dell'azione penale — è il primo argine contro la corruzione e l'abuso di potere.
La critica si estende inevitabilmente alla riforma del CSM. Si parla di sorteggio per combattere il "correntismo", ma il sorteggio (o "sorteggio temperato") è solo un altro modo per evitare il problema reale: la politicizzazione della magistratura associata. L'attuale crisi del CSM non si risolve con l'alea della sorte; si risolve con una riforma seria dei criteri elettorali e, soprattutto, restituendo centralità alla professionalità e al merito, non all'appartenenza.
Il sospetto, forte e sgradevole, è che questa intera impalcatura non serva a dare risposte ai cittadini che aspettano una sentenza da dieci anni. Serve a mandare un messaggio a quella parte della magistratura considerata "ostile" dalla politica. È una riforma punitiva, che confonde l'efficienza con il controllo.
Invece di separare le carriere, separiamo le ossessioni della politica dai bisogni reali del Paese. Vogliamo processi più rapidi? Assumiamo cancellieri, investiamo in infrastrutture, semplifichiamo le procedure. Volere un PM "separato" suona, oggi più che mai, come il desiderio di un PM "addomesticato". E una giustizia addomesticata non è più giustizia: è solo l'anticamera dell'arbitrio. (Stefano Donno)
La mia ultima storia per te di Sofia Assante (Mondadori)
Libro vincitore del Premio Viareggio Opera Prima 2025
Al suo esordio, Sofia Assante mette a punto una voce narrante ironica e irresistibilmente romantica, che omaggia esplicitamente alcuni grandi narratori americani, da Salinger a Fitzgerald a Dylan, ed è capace di far sorridere e al tempo stesso commuovere. E racconta una storia piena di segreti e sorprese narrative, attraversata da una domanda che tutti ci siamo fatti almeno una volta nella vita: possiamo davvero dire di conoscere le persone che abbiamo accanto?
«Quante cose ci sono dentro questo bel romanzo d'esordio: l'amicizia assoluta e lo spleen dell'adolescenza ma anche i misteri e le colpe di ogni famiglia e di ogni amore.» - Daria Bignardi
«Un libro denso, profondo, commovente, ironico. Sofia Assante è puro talento.» - Antonio Manzini
mercoledì 29 ottobre 2025
Trump contro l'Europa: Un Isolazionismo Pericoloso o una Sveglia Necessaria? - ecco cosa ne penso
In un mondo già segnato da tensioni globali, il documento sulla nuova National Security Strategy di Donald Trump, rilasciato in questi gio...
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Stefano De Martino, sui social il video intimo con la fidanzata Caroline Tronelli: gli hacker violano le webcam di casa | Corriere.it
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Meloni-Orbán: l'amicizia di comodo e il "Patto del Diavolo" che logora l'Europa - ecco cosa ne pensoC'è un gioco delle parti che va in scena a Bruxelles e nelle capitali europee, e i due protagonisti più discussi sono, ancora una volta,...




